Speciale: Mostro di Firenze

mostro

di Valentina Magrin

tratto da nottecriminale.it

Succede nei weekend, in luoghi appartati della campagna toscana, nelle notti senza luna.

IL DELITTO DI SCANDICCI – Il 6 giugno 1981, un sabato sera, due fidanzati di 30 e 21 anni, Giovanni e Carmela, cenano a casa della ragazza. Dopo aver mangiato, i ragazzi escono, promettendo di far ritorno per mezzanotte. I due si appartano a bordo della Fiat Ritmo di lui in via Mosciano Vecchia, una strada isolata di Scandicci (Firenze) non molto lontano dalla discoteca Anastasia. La mattina seguente, non vedendoli rientrare, le rispettive famiglie danno l’allarme. L’auto di Giovanni viene notata verso le 10: a bordo, sul posto di guida, c’è ancora Giovanni, seminudo e con la testa reclinata sul volante. » stato ucciso con tre colpi di pistola e numerose coltellate. Carmela, a sua volta, E’ stata raggiunta da cinque proiettili. Poi il suo corpo è stato trascinato fuori dall’auto per una ventina di metri e seviziato fino alla completa e precisa asportazione del pube. Ai due ragazzi non è stato portato via alcunchè, quindi non si è trattato di una rapina finita male. Sul luogo del delitto vengono ritrovati cinque bossoli di una Beretta calibro 22 Long Rifle. I proiettili sono di marca Winchester serie H.

 UNA GIUSTA INTUIZIONE – Inizialmente si pensa che dietro questo delitto possa nascondersi un movente passionale, magari un ex fidanzato geloso ma mancano riscontri oggettivi. Non solo, ben presto torna alla mente un altro omicidio avvenuto il 14 settembre 1974 a Borgo San Lorenzo (Firenze): altri due fidanzati uccisi mentre erano in auto, la ragazza accoltellata e violata nelle sue parti intime, la stessa pistola. I magistrati della Procura della Repubblica Adolfo Izzo e Silvia Della Monica iniziano a lavorare in questo senso, ipotizzando l’esistenza di un maniaco sessuale che, se non fermato, potrebbe uccidere ancora.
 
 L’ARRESTO DI SPALLETTI – Il 16 giugno, dieci giorni dopo l’omicidio, viene arrestato un guardone di Montelupo Fiorentino, Enzo Spalletti. Spalletti, 39 anni e un lavoro come autista di ambulanze, la mattina dopo il delitto di Scandicci avrebbe raccontato alla moglie dei due ragazzi morti, anche se la notizia non era ancora stata resa nota. Inoltre, il suo alibi per le ore dell’omicidio avrebbe un buco di un’ora e qualcuno l’avrebbe visto nei pressi di Scandicci. Spalletti, però, dice di non saperne niente e di essere assolutamente innocente. Alcuni mesi più tardi si scoprirà che forse non mente: la notte tra il 22 e il 23 ottobre 1981 un’altra giovane coppia di fidanzati, Stefano Baldi e Susanna Cambi, viene uccisa a Calenzano (Firenze), in località Traballe. Anche loro si trovavano in macchina e anche loro vengono accoltellati e freddati dalla stessa calibro 22 munita di proiettili Winchester serie H. Anche a Susanna viene asportato il pube. Il 24 ottobre 1981 il giudice istruttore Vincenzo Tricomi firma il provvedimento per la concessione della libertà a Enzo Spalletti, che evidentemente non può aver commesso quest’ultimo delitto. Gli inquirenti sono comunque convinti che l’assassino delle coppiette sia da ricercarsi tra i guardoni e scoprono un vero e proprio mondo sommerso nelle campagne fiorentine: vengono individuate almeno 200 persone, alcune delle quali insospettabili, che trascorrono le notti a spiare le coppiette appartate in macchina. Pare esista una ferrea spartizione delle zone, le quali talvolta vengono addirittura affittate dal “legittimo” detentore. In quest’ottica l’assassino, se anche non fosse un guardone, potrebbe comunque essere stato notato in quell’ambiente.
IL DELITTO DI BACCAIANO – Trascorrono 8 mesi e il 19 giugno 1982 Paolo Mainardi e Antonella Migliorini vengono uccisi in località Baccaiano mentre si trovano a bordo della loro auto. Il copione è, neanche a farlo apposta, lo stesso. Antonella, colpita da quattro proiettili Winchester serie H, muore sul colpo. Paolo, seppur ferito gravemente, prova a fare manovra e a scappare ma le gomme posteriori della sua auto restano incastrate in una cunetta. L’assassino questa volta non infierisce sui genitali della ragazza, forse perchè vicino alla strada dove si consuma la tragedia c’è un gran via vai di gente, dovuto a una sagra paesana.

Le indagini procedono a tentoni. Ormai è evidente che ci si trovi davanti a un vero e proprio serial killer, ma la sua identità resta avvolta nel mistero. Il sostituto procuratore Silvia Della Monica elabora quindi un trabocchetto, con la speranza che l’assassino faccia un passo falso: chiede ai giornalisti di pubblicare la notizia che Paolo Migliorini, poco prima di morire, avrebbe fatto in tempo a fornire importanti informazioni circa l’identità del mostro. Purtroppo, però, anche questo tentativo si dimostrerà un buco nell’acqua: l’assassino, vuoi perchè troppo sicuro di sè o vuoi perchè troppo incosciente, resta fermo immobile nel suo angolo in attesa di tornare a colpire. Il 29 giugno 1982 viene diffuso un identikit relativo all’assassinio di Calenzano (22 ottobre 1981): si tratta di una persona vista sul luogo del delitto, non necessariamente il mostro. Per l’ennesima volta, tuttavia, nessuno si fa avanti.

LA PISTA SARDA – Nel frattempo, gli atti relativi ai quattro duplici omicidi vengono riuniti in un’unica istruttoria affidata al giudice Vincenzo Tricomi del Tribunale di Firenze, che il 6 novembre 1982 emette un mandato di cattura per Francesco Vinci, detto “cecchino”, un quarantenne originario di Villacidro (Cagliari) ma residente a Montelupo Fiorentino. L’uomo, che si trova già in carcere per maltrattamenti in famiglia, ora è accusato di un duplice omicidio avvenuto nella notte tra il 21 e il 22 agosto 1968 a Lastra A Signa (Firenze). Allora morirono due amanti, Antonio Lo Bianco e Barbara Locci. Vinci era a sua volta un amante della Locci. Per quest’omicidio sta già scontando una pena di 16 anni il muratore sardo Stefano Mele, marito di Barbara Locci. Ma cosa c’entra l’omicidio del 1968 con gli altri, e perchè viene coinvolto Francesco Vinci? In Procura a Firenze è stata fatta una strana scoperta (forse casuale, forse indotta): all’interno del fascicolo sull’omicidio del 1968 sono stati trovati i bossoli con cui la coppia d’amanti era stata uccisa. Si tratta di proiettili marca Winchester serie H. L’arma utilizzata è la stessa di quella che ha sparato dal 1974 al 1982 uccidendo altre otto persone. Francesco Vinci era stato tirato in ballo subito dopo il delitto Locci e Lo Bianco da Stefano Mele, il marito della Locci, che aveva dichiarato di aver partecipato all’omicidio ma che a sparare era stato Vinci. Mele, in seguito, aveva ritrattato ed era finito da solo in carcere. Ora però una serie di accertamenti porta di nuovo a sospettare di Vinci: Stefano Mele fa di nuovo il suo nome e, inoltre, pare che nel 1968 la Beretta calibro 22 fosse nella disponibilità di Vinci. Ma il giudice Vincenzo Tricomi mette in guardia: “Se anche si proverà che Vinci è responsabile di quel duplice omicidio (quello del 1968, ndr), questo non vuol dire affatto che egli abbia compiuto anche gli altri. La pistola potrebbe infatti essergli stata sottratta, potrebbe averla smarrita, potrebbe averla venduta al mercato clandestino della malavita, potrebbe averla data lui stesso a un’altra persona”.

IL DELITTO DI GIOGOLI – Il giudice Tricomi, che di lì a poco verrà sostituito dal giudice Mario Rotella, aveva ragione: Francesco Vinci è in carcere, ma l’assassino, armato della solita calibro 22, colpisce ancora. » il 9 settembre 1983. Questa volta le vittime sono due turisti tedeschi, entrambi maschi. Forse il killer viene tratto in inganno perchè uno dei due ha i capelli lunghi e la corporatura esile. I ragazzi si trovavano in località Le Gore, vicino a via di Giogoli, a bordo di un furgoncino Volkswagen. L’assassino spara contro di loro ma, resosi conto che non c’è una donna, li risparmia delle coltellate e delle mutilazioni.

Il 26 gennaio 1984 Francesco Vinci viene definitivamente scagionato dall’accusa di essere l’autore del duplice omicidio del 1968. Non solo: il sardo non avrebbe niente a che fare nemmeno con gli altri omicidi attribuiti al mostro ed esce quindi dall’inchiesta (morirà nel 1993, incaprettato insieme a un suo amico nel bagagliaio di un’auto in fiamme). Per l’omicidio di Lastra A Signa il giudice Rotella firma due nuovi mandati di cattura, questa volta per Giovanni Mele (fratello di Stefano) e Piero Mucciarini (cognato di Stefano). I due si proclamano innocenti ma ad accusarli, ancora una volta, è Stefano Mele. Ai due viene anche inviata comunicazione giudiziaria per gli altri cinque duplici delitti. Possibile che il cosiddetto “mostro di Firenze” siano, in realtà, due persone? “Da me non sentirete mai dire questa parola ñ dichiara il giudice Rotella ñ il mostro non esiste come concetto, esiste qualcuno che successivamente ha reiterato più volte il delitto del 1968”.

IL DELITTO DI VICCHIO – L’assassino (o gli assassini) continua imperterrito a tracciare la sua lunga scia di sangue, beffandosi degli inquirenti che, proprio quando pensano di averlo arrestato, si ritrovano punto e a capo. Claudio e Pia sono la tredicesima e la quattordicesima vittima di quella maledetta pistola. I due ragazzi di Vicchio del Mugello la sera di domenica 29 luglio 1984 si erano appartati a bordo della Fiat Panda di Claudio in località Boschetta. Quando vengono colpiti dalla calibro 22 si trovano sul sedile posteriore dell’auto. Poi la ragazza viene trascinata a pochi metri dall’auto e le vengono asportati il pube e il seno sinistro. Per la prima volta l’assassino infierisce anche sui genitali del ragazzo.

Giovanni Mele e Piero Mucciarini, esattamente come Spalletti e Vinci, vengono rimessi in libertà. Nel frattempo, il 1 agosto 1984, il Procuratore Aggiunto di Firenze Carlo Bellito annuncia la costituzione di una Squadra Anti Mostro (SAM), composta dai Sostituti Procuratori Francesco Fleury, Paolo Canessa, Adolfo Izzo e Pier Luigi Vigna con un nucleo interforze di polizia e carabinieri. In seguito verrà mandato a Firenze anche il direttore della polizia criminale, il questore Lugi Rossi. La situazione è davvero critica: “Isolarsi è pericoloso. Il mostro può commettere altri omicidi. Lo ricordo a tutte le coppie e le invito, se devono appartarsi in macchina, a unirsi ad altre auto, a stare in gruppo e non da soli” queste le parole del Procuratore Aggiunto Carlo Bellito nove mesi dopo il delitto di Vicchio.

L’ULTIMO DELITTO DEL MOSTRO – Un appello che forse le giovani coppie fiorentine ascoltano, ma che evidentemente non supera il confine italiano. Sono infatti due francesi le ultime vittime del Mostro di Firenze: Jean-Michel Kraveichvili e Nadine Mauriot vengono aggrediti mentre si trovano all’interno della loro tenda da campeggio in località Scopeti (Firenze). » l’8 settembre 1985. Nadine muore sul colpo. Jean-Michel, ferito, prova a scappare ma il killer lo raggiunge, lo finisce a coltellate e cerca di occultarne il corpo. Anche Nadine viene trascinata fuori dalla tenda, le vengono asportati seno sinistro e pube e poi l’assassino la rimette all’interno della tenda. Pare quasi che voglia ritardare la scoperta dei due cadaveri, forse perchè ha in mente un sadico scherzetto: infatti, mette in una busta un lembo del seno della ragazza e lo spedisce al Pm Silvia Della Monica. Probabilmente vuole lanciare una sfida agli inquirenti: “ho ucciso ancora, trovate i corpi”. La busta, però, arriverà in Procura due ore dopo la scoperta dei cadaveri.

Da questo momento in poi il mostro di Firenze non colpirà più. Che cosa può essere successo? Forse è morto, forse si è ammalato, forse è finito in carcere per altri motivi? Non si saprà mai.

PIETRO PACCIANI – Dall’ultimo omicidio bisogna attendere 6 anni per la prima, importante svolta nelle indagini: il 30 ottobre 1991 Pietro Pacciani, un contadino sessantaseienne di Mercatale (Firenze) già in carcere con l’accusa di aver stuprato le sue 2 figlie, viene raggiunto da un avviso di garanzia firmato dal Procuratore Capo Pier Luigi Vigna e dal Sostituto Procuratore Paolo Canessa in relazione ai delitti del mostro di Firenze. In realtà due lettere anonime (una del 1985 e una del 1987) già avevano invitato a indagare su di lui. Pacciani, inoltre, era già stato schedato nella lista dei possibili mostri. La storia criminale del violento contadino di Mercatale era iniziata molto tempo prima, nel 1951. Allora il giovane Pacciani aveva sorpreso la fidanzata con un altro uomo. Furibondo, il contadino aveva ucciso a coltellate il rivale e aveva costretto la fidanzata ad avere un rapporto sessuale con lui accanto al cadavere. Al processo per quell’omicidio (per il quale verrà condannato a 13 anni di carcere e tornerà libero poco prima dell’omicidio di Lastra a Signa del 1968) aveva dichiarato di essere impazzito quando aveva visto il seno sinistro della fidanzata scoperto. Fatalità, è proprio sul seno sinistro delle vittime che il mostro di Firenze si è spesso accanito. Nel corso delle indagini avviene un altro episodio che sembra incastrare definitivamente Pietro Pacciani: il 29 aprile 1992, durante il terzo giorno (se ne conteranno 12) di perquisizioni, nell’orto del contadino viene trovato un proiettile Winchester calibro 22 con la lettera H impressa sul fondo. Il proiettile è incastrato in una colonnina. “Sono tutti imbrogli. Quel proiettilino l’hanno messo loro quando io non c’ero” così Pacciani, che con loro intende polizia e carabinieri, si difende.

 Sempre nel corso delle perquisizioni viene trovato quello che gli inquirenti definiranno un “bazar di indizi”: ritagli di giornale relativi ai delitti, foto porno, quadri con simboli magici, oggetti personali riconducibili a una vittima (in particolare un album da disegno e un porta sapone di Horst Meyer), strani appunti Il 16 gennaio 1993 Pietro Pacciani viene arrestato e condotto nel carcere di Sollicciano con l’accusa di essere l’autore di sette duplici omicidi, quelli avvenuti tra il 1974 e il 1985. Per il primo, quello del 1968, è solo indiziato.
IL PROCESSO – Un anno più tardi, il 19 aprile 1994, nell’aula bunker di Santa Verdiana si apre il processo che vede imputato il contadino di Mercatale. La battaglia tra accusa e difesa, incentrata su quelli che per una sono indizi e per l’altra errori di valutazione, si conclude il 1 novembre dello stesso anno con la condanna all’ergastolo dell’imputato per 14 dei 16 omicidi (tutti tranne quelli del 1968): “Così uccidono un innocente!” dice Pacciani alzando le mani giunte al cielo durante la lettura della sentenza.

 I COMPAGNI DI MERENDE – Nel 1995 diventa capo della Squadra Mobile di Firenze Michele Giuttari. Con lui prende sempre più piede una nuova pista investigativa, che vede al centro dei sospetti alcuni personaggi che avevano testimoniato nel corso del processo a Pacciani e che, pare, ruotano intorno a un ambiente di messe nere e riti satanici con al centro la casa di un certo Salvatore Indovino (un mago morto nel 1986). Si tratta, in particolare, di Mario Vanni (il postino di San Casciano), Giancarlo Lotti, Fernando Pucci e Giovanni Faggi. Sono coinvolte anche due prostitute. » la cosiddetta inchiesta-bis sul mostro fi Firenze.

 A cinque giorni del processo d’Appello per Pacciani, il 24 gennaio 1996, è Vanni, un suo “compagno di merende” (definizione da lui utilizzata nel corso del processo di primo grado: “Io con Pacciani sono solo andato a fare delle merendine”), a ricevere un avviso di garanzia per concorso negli omicidi commessi nei dintorni di Firenze fino al settembre 1985. La svolta si rende evidente quando, il 12 febbraio, Vanni viene arrestato (in relazione all’ultimo omicidio del mostro) e il giorno successivo la sentenza di secondo grado assolve Pacciani per non aver commesso il fatto. “Un nulla probatorio” contro Pacciani, così affermerà il giudice dell’Appello Francesco Carvisiglia dopo aver ripercorso gli indizi a carico del contadino.

 L’inchiesta bis diventa predominante. Giancarlo Lotti e Fernando Pucci dichiarano di aver assistito all’omicidio del 1985 e che a uccidere i due francesi sarebbero stati Pacciani e Vanni. Il 13 marzo 1996 Lotti dichiara di aver assistito anche all’omicidio di Vicchio del 1984 (che sarebbe stato compiuto sempre da Pacciani e Vanni) e il giorno successivo viene indagato anche lui per concorso in omicidio per i delitti del 1984 e del 1985. Nei mesi seguenti ammetterà di aver fatto da palo agli ultimi cinque omicidi del mostro e di aver sparato lui stesso nell’omicidio di Giogoli. Tuttavia Lotti non è una persona affidabile e ha parecchi problemi di alcool, quindi anche le sue dichiarazioni vanno prese con le pinze.

TUTTO DA RIFARE – Il 12 dicembre 1996 la Cassazione annulla la sentenza di assoluzione di Pietro Pacciani e dispone un nuovo processo. Nel frattempo, a conclusione dell’indagine-bis, viene chiesto il rinvio a giudizio di Mario Vanni, Giancarlo Lotti e Giovanni Faggi (coinvolto da Lotti nei delitti del 1981 e 1985). Per tutti e tre il processo di primo grado inizia il 20 maggio 1997.

IL SECONDO LIVELLO – Proprio mentre in aula si discute dei “compagni di merende”, in attesa del nuovo processo a Pietro Pacciani, il Sostituto Procuratore Paolo Canessa apre l’ennesimo filone d’inchiesta, questa volta riguardante i possibili mandanti degli omicidi: l’ipotesi è che gli assassini (o l’assassino) non abbiano agito per proprio tornaconto, ma per “commissione”. Ci sarebbe quindi un secondo livello, composto verosimilmente da persone insospettabili, che si sarebbe servito di semplici manovali del crimine per soddisfare le proprie perversioni. Questa teoria sarebbe supportata, ancora una volta, da alcune dichiarazioni di Lotti (che avrebbe dichiarato che le parti del corpo mutilate dalle vittime erano state comprate da un dottore) e dalla presenza nel conto in banca di Pacciani e Vanni di cospicue somme di denaro.

LA MORTE DI PACCIANI E LE CONDANNE DEI COMPLICI – Il 22 febbraio 1998 Pietro Pacciani viene trovato morto nella sua abitazione: ha i pantaloni abbassati e il maglione tirato su fino al collo. Ufficialmente si tratta di morte naturale, ma nel suo sangue verrà trovata traccia di un farmaco antiasmatico che non avrebbe mai dovuto prendere, dal momento che soffriva di una malattia cardiaca. » l’ennesimo mistero della più intricata vicenda di cronaca nera della storia italiana. Pacciani esce di scena da innocente, mentre i suoi complici sono sotto processo e stanno per essere condannati. Un mese dopo, infatti, Mario Vanni viene condannato all’ergastolo e Giancarlo Lotti a 30 anni di reclusione per gli omicidi di Montespertoli, Giogoli, Vicchio e Scopeti. Faggi, invece, viene assolto. In Appello la pena per Lotti si ridurrà a 26 anni. Nel 2000 in Cassazione le condanne diverranno definitive. Lotti morirà per un tumore al fegato nel 2002, Vanni, molto anziano, lo seguirà nel 2009.

 FRANCESCO NARDUCCI – Resta ancora aperta l’inchiesta-ter, quella sui mandanti degli omicidi. Nel 2002 viene chiesta la riesumazione del cadavere di Francesco Narducci, un gastroenterologo di Perugia morto annegato (un apparente suicidio) sul lago Trasimeno il 13 ottobre 1985, ad appena 36 anni. Il suo nome era stato fatto da alcune fonti anonime ed era emerso anche in un’indagine della squadra Mobile di Perugia sul mondo dell’usura: in alcune intercettazioni gli strozzini avevano minacciato le loro vittime di fargli fare la fine di Pacciani o del dottore morto sul lago Trasimeno. Infine, Narducci muore proprio nel 1985, quando il killer delle coppiette smette di uccidere. Il sospetto è dunque che Narducci sia in qualche modo collegato con i delitti del mostro di Firenze. A 17 anni dalla sua morte viene quindi eseguita l’autopsia sul corpo del gastroenterologo. I risultati sono a dir poco sorprendenti: Narducci, secondo gli esami svolti dall’Istituto di Medicina Legale di Pavia, sarebbe morto per strangolamento. Ma c’è di più: il corpo riesumato è sì quello di Narducci, ma le sue caratteristiche fisiche fanno escludere che si tratti dello stesso corpo emerso dalle acque del lago Trasimeno nel 1985. Qualcuno, insomma, avrebbe messo nella bara il cadavere di Narducci dopo aver fatto ritrovare nel lago il cadavere di uno sconosciuto morto annegato. Ma chi può aver architettato tutto ciò? E perchè? Forse si è voluto inscenare un suicidio per allontanare il sospetto che la sua morte fosse collegata alle vicende del mostro di Firenze? Nel giugno del 2005 viene iscritto nel registro degli indagati Francesco Calamandrei, già indagato come mandante degli omicidi del mostro di Firenze. Secondo l’accusa, Calamandrei e Narducci sarebbero stati in strettissimi rapporti e avrebbero fatto parte del cosiddetto “secondo livello”, quel gruppo di “intellettuali” considerato la mente dei delitti del mostro. Poi, forse la paura che Narducci potesse rivelare episodi compromettenti, avrebbe indotto Calamandrei a sbarazzarsi dello scomodo amico. Viene indagato anche il giornalista Mario Spezi, per favoreggiamento. Nel 2008 l’ennesimo colpo di scena: la procura di Perugia chiede l’archiviazione del fascicolo relativo all’omicidio di Francesco Narducci e il proscioglimento di tutti gli indagati. Di seguito, verranno prosciolte anche tutte le altre persone coinvolte a vario titolo nella vicenda: parenti, conoscenti, pubblici ufficiali e appartenenti alle forze di polizia. L’indagine sulla morte di Francesco Narducci si dissolve in una bolla di sapone.

FRANCESCO CALAMANDREI – Nel gennaio del 2004 è l’ex farmacista di San Casciano Francesco Calamandrei a essere iscritto nel registro degli indagati nell’ambito dell’inchiesta “Ter” sui duplici delitti del mostro di Firenze. Calemandrei viene “incastrato” da alcune rivelazioni fatte negli anni precedenti dalla ex moglie, che perÚ nel 2004 non è più in grado di rendere testimonianza, avendo seri problemi psichici. Inoltre, Mario Vanni aveva dichiarato di essere stato a casa del farmacista con Pacciani e Lotti. Calamandrei viene rinviato a giudizio con l’accusa di essere il mandante degli ultimi 4 omicidi del mostro: avrebbe pagato i compagni di merende per ottenere parti di corpo femminile asportate alle vittime e sarebbe stato presente all’ultimo omicidio, quello del 1985 agli Scopeti. Nel 2005 Calamandrei viene indagato anche per la morte di Francesco Narducci. Lui si proclama innocente per entrambi i reati. Per l’omicidio del gastroenterologo perugino verrà prosciolto nel marzo 2008. Due mesi più tardi verrà assolto anche dall’accusa di essere il mandante degli omicidi del mostro di Firenze: il fatto non sussiste e così si conclude anche l’inchiesta sui presunti mandanti del mostro di Firenze.

Una vicenda lunga quarant’anni, quella del mostro di Firenze. Tante vittime, tante condanne, tante assoluzioni e poche, pochissime certezze. Ancora oggi, la sensazione che sia sfuggito qualcosa e ben chiara a chi si trova, come la sottoscritta, a ripercorrere tutte le tappe della storia. Chissà chi era realmente lo spietato killer delle coppiette toscane, chissà che fine ha fatto quella pistola calibro 22 che ha seminato il terrore e ha spezzato 16 giovani vite: forse è nascosta da qualche parte e chi l’ha usata si è portato nella tomba il segreto del luogo esatto, forse è stata distrutta, forse (ipotesi meno probabile) è custodita nel cassetto di qualcuno Comunque sia, ci auguriamo che non torni più a sparare.

I DELITTI ATTRIBUITI AL MOSTRO DI FIRENZE:

Lastra a Signa (Firenze), mercoledì 21 agosto 1968 Vittime: Antonio Lo Bianco (29 anni) e Barbara Locci (32 anni)

Borgo San Lorenzo (Firenze), domenica 14 settembre 1974 Vittime: Pasquale Gentilcore (19 anni) e Stefania Pettini (18 anni)

Scandicci (Firenze), sabato 6 giugno 1981 Vittime: Giovanni Foggi (30 anni) e Carmela De Nuccio (21 anni)

Calenzano (Firenze), notte tra giovedì 22 e venerdì 23 ottobre 1981 Vittime: Stefano Baldi (26 anni) e Susanna Cambi (24 anni)

Baccaiano (Firenze), sabato 19 giugno 1982 Vittime: Paolo Mainardi (22 anni) e Antonella Migliorini (19 anni)

Giogoli (Firenze), venerdì 9 settembre 1983 Vittime: Horst Wilhelm Meyer (24 anni) e Jens-Uwe R¸sch (24 anni)

Vicchio (Firenze), domenica 29 luglio 1984 Vittime: Claudio Stefanucci (21 anni) e Pia Rontini (18 anni)

Scopeti (Firenze), domenica 8 settembre 1985 Vittime: Jean-Michel Kraveichvili (25 anni) e Nadine Mauriot (36 anni)

Garlasco, omicidio di Chiara Poggi: assoluzione per Stasi anche in appello

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di Valentina Magrin

tratto da cronaca-nera.it 

L’8 novembre 2011, a due anni di distanza dall’assoluzione con formula dubitativa, Alberto Stasi è di nuovo in aula per il processo di secondo grado che lo vede imputato per la morte di Chiara Poggi.

Sono molti gli elementi che, almeno secondo l’accusa, devono ancora essere chiariti. A tal scopo il procuratore generale Laura Barbaini e l’avvocato della famiglia Poggi chiedono ulteriori accertamenti, in particolare su un capello biondo-castano lungo 1,2 centimetri trovato in mano alla vittima, e su una bicicletta presente nel garage di Stasi. Tale bicicletta, da donna e di colore nero, potrebbe corrispondere a quella vista da una testimone fuori da casa Poggi la mattina del delitto.Non si tratta però della stessa bicicletta su cui in passato era stato trovato il Dna di Chiara, che è da uomo e bordeaux.

Per quanto riguarda l’alibi di Stasi, inoltre, l’accusa sostiene che l’omicidio possa essere avvenuto tra le 9.12 e le 9.35, ossia in un tempo in cui l’imputato non era al computer. Si chiede anche che vengano fatte 3 nuove perizie: una per valutare i possibili percorsi compiuti da Alberto sulla scena del crimine, compreso il tratto di scale che conduce in cantina; un’altra relativa alle suole delle scarpe calzate da Stasi il giorno dell’omicidio e sulla loro capacità di trattenere tracce ematiche e la terza sul pc dell’imputato e sull’apertura dei file la sera prima dell’omicidio.

Infine, l’accusa si interroga su un intenso scambio di sms avvenuto nei due giorni precedenti l’omicidio tra Alberto Stasi e due suoi amici: i messaggi erano stati tempestivamente cancellati dai ragazzi, ma il sospetto è che possano riguardare una situazione di emergenza vissuta da Alberto, riguardante forse il suo rapporto con Chiara.

Nel corso della requisitoria, il procuratore generale chiede che Stasi venga condannato a 30 anni di carcere.

Il 6 dicembre 2011, però, la Corte d’Assise d’Appello di Milano pronuncia il suo verdetto, confermando la sentenza di primo grado e quindi l’assoluzione dell’imputato. Alberto Stasi è stato considerato ancora una volta innocente. Ora, tra mille incertezze, l’unica cosa certa è che l’assassino di Chiara Poggi, chiunque esso sia, è ancora in libertà.

Garlasco, omicidio di Chiara Poggi: le perizie e l’assoluzione di Stasi

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di Valentina Magrin

tratto da cronaca-nera.it

Il 28 settembre 2009 viene depositata la prima delle 4 perizie chieste dal giudice Stefano Vitelli. Si tratta di quella medico-legale, che contiene almeno due elementi chiave a favore di Alberto Stasi. Il primo elemento riguarda le macchie di sangue presenti sul pavimento della villetta dei Poggi. Secondo i periti, infatti, meno di quaranta minuti dopo il delitto il sangue sul pavimento si era già seccato. Ecco perché Alberto, pur avendo camminato all’interno della casa, potrebbe non essersi sporcato le suole delle scarpe. Inoltre, se anche qualche traccia di sangue fosse stata raccolta dalle suole, si sarebbe verosimilmente dispersa nelle 18 ore successive, ossia nel tempo intercorso prima del repertamento delle scarpe. In quel lasso di tempo, infatti, Alberto aveva continuato a calzarle.

Tale risultato concorda con il risultato di un’altra perizia voluta dal giudice, quella chimico-sperimentale, nel corso della quale sono stati svolti esperimenti proprio con le scarpe dell’imputato. Il secondo punto della perizia medico-legale a favore di Stasi si riferisce al materiale biologico di Chiara trovato sul pedale della bicicletta dell’imputato. Secondo i periti del Gup esso non solo non è databile, ma non è nemmeno detto che sia sangue.

Il 10 ottobre 2009, con la deposizione della perizia informatica, viene dato il k.o. definitivo all’accusa. Per la prima volta, infatti, viene dimostrato che Alberto Stasi la mattina del 13 agosto 2007, per la precisione tra le 9,35 e le 12,20, era rimasto davanti al computer a lavorare alla tesi e a visionare materiale pornografico. I dati per poter affermare ciò erano stati involontariamente cancellati dai carabinieri che per primi avevano preso in custodia l’apparecchio, accendendolo e spegnendolo per un numero imprecisato di volte, inserendo chiavette usb e svuotando il cestino. Ma l’esperto questa volta è riuscito a trovarli in un angolo della memoria del pc. L’alibi fornito in tutti questi anni dall’imputato è quindi confermato.

Infine, per quanto riguarda i video e le foto pedopornografici, la perizia informatica osserva che non è detto che siano stati scaricati volontariamente da Stasi.

Dopo tutta questa serie di accertamenti il risultato del processo è scontato: il 17 dicembre 2009 Alberto Stasi viene assolto in base al secondo comma dell’articolo 530 del codice penale per insufficienza di prove.

Garlasco, omicidio di Chiara Poggi: il processo di primo grado

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di Valentina Magrin

tratto da cronaca-nera.it

Il 3 novembre 2008 il pm Rosa Muscio chiede il rinvio a giudizio per Alberto Stasi. Il 9 aprile  2009 nel tribunale di Vigevano, davanti al Gup Stefano Vitelli, ha inizio il processo. L’imputato ha chiesto il rito abbreviato. Il destino di Alberto sembra irrimediabilmente segnato: per l’opinione pubblica quel biondino con gli occhi di ghiaccio ha ormai perso la maschera da bravo ragazzo ed è diventato un mostro, un pervertito capace perfino di ammazzare la sua fidanzata.

Già, perché il movente, nell’ipotesi accusatoria, è proprio questo:Chiara, la sera precedente l’omicidio, avrebbe scoperto nel computer di Alberto i video e le foto dal contenuto pedopornografico. Tra i due ragazzi sarebbe scoppiata una lite furibonda e lei lo avrebbe minacciato di raccontare ad altri il suo inconfessabile segreto. La mattina seguente Alberto sarebbe tornato da Chiara per un tentativo di riappacificazione ma, di fronte all’intransigenza della ragazza, l’avrebbe aggredita e uccisa.

In aula, i pm chiedono che Alberto venga condannato a 30 anni di reclusione, mentre la difesa ne invoca l’assoluzione. Il 30 aprile 2009 il Gup si ritira in camera di consiglio ma quando ne esce, a sorpresa, non emette alcuna sentenza, bensì dispone che si facciano 4 nuove perizie: una medico-legale, una informatica, una chimico sperimentale e un nuovo sopralluogo del Gup in persona nella scena del delitto. Tutto da rifare, quindi. Le prove portate da accusa e difesa non hanno convinto il Gup Vitelli della colpevolezza o meno di Alberto Stasi.

Garlasco, omicidio di Chiara Poggi: le indagini

garlasco

di Valentina Magrin

tratto da cronaca-nera.it

Gli inquirenti che indagano sulla morte di Chiara Poggi scartano fin da subito l’ipotesi della rapina finita male. Dalla casa in cui si è consumato il delitto, infatti, non manca nulla e i rilievi scientifici nella villetta individuano solo tracce di Chiara, dei suoi famigliari, degli investigatori, dei soccorritori, di un falegname che recentemente aveva fatto dei lavori lì e di Alberto Stasi.

È proprio su Alberto che si concentrano le indagini. Il suo tono di voce nella telefonata al 118 appare freddo e distaccato. Il suo alibi per le ore in cui si è consumato il delitto, ossia il fatto che era a casa sua a scrivere la tesi di laurea al computer, non convince. Inoltre, nelle suole delle scarpe che indossava al momento del ritrovamento del corpo di Chiara non ci sono tracce di sangue, e questo fatto insospettisce molto: il pavimento era pieno di sangue, com’è possibile che Alberto non l’abbia calpestato?

Infine, c’è la testimonianza di una vicina di casa che dice di aver visto una bicicletta appoggiata nel muro esterno della villetta dei Poggi proprio la mattina del delitto. Ebbene, nel pedale della bicicletta di Alberto c’è una traccia di Dna di Chiara.

Il 24 settembre 2007 Alberto viene arrestato. Il Gip, però, dopo 4 giorni lo scarcera, perché ritiene che non ci siano elementi sufficienti a giustificarne la detenzione. Alberto, seppur libero, resta l’unico indagato per la morte della sua fidanzata.

Il colpo finale alla sua immagine viene dato il 20 dicembre 2007, quando Stasi viene indagato anche per detenzione di materiale pedopornografico. I tecnici incaricati di analizzare il suo pc, infatti, trovano alcune decine di video e foto scaricati da internet e raffiguranti scene di sesso con minori.

 

Garlasco, omicidio di Chiara Poggi: il ritrovamento del corpo

chiara poggi

di Valentina Magrin

tratto da cronaca-nera.it

Sono da poco passate le 2 del pomeriggio del 13 agosto 2007. Inizia con questa telefonata il giallo di Garlasco, l’omicidio di Chiara Poggi. La persona che chiama il 118 è Alberto Stasi, 24 anni, il fidanzato di Chiara. È lui a trovare il corpo della ragazza:

Ma facciamo un passo indietro. Chiara e Alberto sono una coppia affiatata, stanno insieme da 5 anni. A detta di tutti sono due bravi ragazzi, senza grilli per la testa, tanto che quell’estate hanno deciso di non andare in vacanza, lei per fare uno stage in un’azienda di Milano e lui per preparare la tesi di laurea in Economia e Commercio. Le rispettive famiglie, invece, sono in ferie da qualche giorno.

I due ragazzi trascorrono la serata del 12 agosto in casa di Chiara, poi Alberto torna da lui a dormire. La mattina seguente Alberto cerca invano di contattare Chiara telefonicamente. All’ora di pranzo si reca presso l’abitazione della ragazza, suona il campanello ma non ottiene risposta. Decide quindi di scavalcare il cancello e, trovando la porta d’ingresso socchiusa, entra.

Davanti ai suoi occhi vede sangue, sangue dappertutto, ma di Chiara nemmeno l’ombra. Seguendo le tracce di sangue Alberto giunge all’imbocco delle scale che scendono in taverna e lì, proprio in fondo a quelle scale, scopre il corpo della ragazza. Indossa ancora il pigiama e non dà segni di vita.

Al loro arrivo i soccorritori non potranno che constatarne il decesso. L’autopsia stabilirà che Chiara è stata uccisa con inaudita ferocia. È stata massacrata con una decina di colpi sferrati con un’arma stretta e appuntita, che non verrà mai ritrovata. Il colpo mortale è stato dato alla nuca e le ha sfondato il cranio.  Chiara è stata uccisa in un arco di tempo che va dalle 9  alle 12 di quel 13 agosto, ma sull’orario preciso della morte non si riuscirà ai a far chiarezza.

In Corte d’Appello passa l’insufficienza di prove

stasi

di Valentina Magrin

tratto da Delitti&Misteri (Anno II, Numero 2, marzo 2013)

L’assoluzione di Alberto Stasi, nonostante sia arrivata dopo che il giudice aveva disposto 4 nuove perizie, è una di quelle che lasciano comunque aperti molti dubbi: “insufficienza di prove”. Che non significa che abbia meno valore, ci mancherebbe, ma indubbiamente rimane qualche buco nero mai chiarito. La Giustizia, lo abbiamo sempre detto, in mancanza di prove certe deve assolvere e con Stasi è successo esattamente questo. Bisogna però dire, a onor di verità, che ci sono molti “particolari”, anche importanti, che sono stati trascurati.

L’ORARIO DELLA MORTE

Il cadavere di Chiara viene trovato da Alberto Stasi poco prima delle 14 del 13 agosto 2007. La morte della ragazza viene fatta risalire a quella stessa mattina: bisogna partire innanzi tutto dalla circostanza che un sicuro segnale in vita di Chiara quella mattina si colloca precisamente alle ore 9.12 con la disattivazione dell’allarme perimetrale e verosimilmente con l’apertura della porta finestra della cucina; altra sicura attività compiuta dalla ragazza quella mattina è l’avere fatto (o comunque iniziata) la colazione, verosimilmente sul divano con la televisione accesa: tale cibo in sede di autopsia è stato rinvenuto ancora nello stomaco, quindi non vi è stato il tempo sufficiente […] per lo svuotamento gastrico. […] Fatte salve le suddette azioni, non sono, invece, emerse evidenze oggettive di altre successive attività che ci si sarebbe ragionevolmente atteso che la ragazza dopo il risveglio e la colazione con il passare dei minuti compisse: come dare luce agli ambienti dell’abitazione […],  abbassare le tende da sole […], cambiarsi di abito, riordinare la casa […]. Il motivo di tale interruzione fra queste due fasi – la prima presente, la seconda in nessuna delle modalità sopra accennate riscontrabile – è più che verosimilmente da attribuirsi, appunto, all’intervenuta aggressione omicidiaria da parte di terzi. E dunque: è più ragionevole affermare che la morte della ragazza si collochi nel lasso temporale immediatamente successivo alla disattivazione dell’allarme perimetrale avvenuto alle ore 9.12 di quella mattina.

LA TELEFONATA DI STASI AL 118

Alle 13.50 Alberto Stasi chiama il 118 e chiede che venga mandata un’ambulanza in via Pascoli. All’operatrice che gli chiede cosa sia successo, il ragazzo risponde: “Credo che abbiano ucciso una persona”: dalla suddetta telefonata emergerebbe un tono “freddo” ed innaturalmente “distaccato” incompatibile con il riferito immediatamente precedente rinvenimento della propria ragazza nelle condizioni in cui effettivamente si trovava. Tuttavia, secondo il giudice Vitelli, non si può non notare il pericolo di cadere in un evidente vizio logico per cui la circostanza indiziante – la dedotta manifesta freddezza di Stasi parlando con l’operatrice del 118 – presupporrebbe, per la sua ragionevole sussistenza, proprio la circostanza (Stasi ha ucciso la propria fidanzata) che dovrebbe, invece, concorrere a provare sia pure in via indiziaria. […] Definire il dato emozionale (scartando le ipotesi alternative) partendo proprio dal thema probandum, significherebbe insomma anteporre la conclusione alla premessa.

Un altro elemento di sospetto nella telefonata al 118 starebbe nel fatto che Stasi, invece di chiamare appena trovato il cadavere di Chiara (come da lui dichiarato nelle prime sommarie informazioni), avrebbe aspettato di arrivare in prossimità della caserma dei carabinieri: questo ritardo, secondo l’accusa, si spiegherebbe col fatto che Stasi sapeva benissimo che era inutile chiamare il 118 perché Chiara era già morta. Tuttavia – spiega il giudice – se Stasi, invece, ha davvero scoperto in buona fede il corpo della propria fidanzata e preso dalla paura, come lui afferma, si allontana sconvolto da quel luogo per “rifugiarsi” in caserma, la circostanza di avere chiamato il servizio del118 uno/due minuti dopo il rinvenimento e di non ricordare esattamente (in sede di sommarie informazioni testimoniali e di dichiarazioni spontanee in qualità di indagato) il momento in cui ha iniziato la telefonata ben può essere coerente e conseguenziale a questa situazione di grande confusione e shock emotivo.

L’ALIBI DI STASI

Purtroppo gli interventi solerti ma poco attenti dei carabinieri hanno determinato la sottrazione di contenuto informativo con riferimento al personal computer di Alberto Stasi pari al 73,8% dei files visibili (oltre 56.000) con riscontrati accessi su oltre 39.000 files, interventi di accesso su oltre 1500 files e creazione di oltre 500 files. Insomma interventi che hanno prodotto effetti devastanti in rapporto all’integrità complessiva dei supporti informatici. Fortunatamente, però, il collegio peritale (ing. Porta e dott. Occhetti) riusciva comunque a ricostruire le attività compiute da Stasi Alberto quella mattina sul proprio computer portatile. Secondo questa ricostruzione vi sono evidenze oggettive della permanenza di Alberto Stasi nella propria abitazione dalle ore 9.35 fino alle ore 12.20 con sostanziale continuità; quindi alle ore 12.46; alle ore 13.26 e alle ore 13.30.

Se Stasi avesse ucciso Chiara (il cui ultimo segnale di vita, ricordiamolo, è alle 9.12, ora in cui avrebbe disinnescato l’allarme), avrebbe avuto, dunque, un tempo massimo di 23 minuti per consumare l’aggressione a danno della propria fidanzata, rientrare in bicicletta […] presso la propria abitazione che dista circa 2km da quella di Chiara ed accendere il proprio personal computer alle ore 9.25. Un tempo veramente esiguo, se si considera che l’azione omicidiaria in questione non può essere considerata irrealisticamente come l’asettica sommatoria della durata dell’aggressione fisica e del tempo necessario per il rientro nella propria abitazione da parte dell’omicida.

LE SCARPE DI STASI

Sulle suole delle scarpe indossate da Alberto Stasi quel 13 agosto 2007 e consegnate agli inquirenti la mattina successiva non sono state trovate tracce di sangue. Per l’accusa questo, paradossalmente, rappresentava una prova a carico del ragazzo, che non poteva non essersi sporcato le suole vista l’abbondante quantità di sangue presente all’interno di casa Poggi. Alberto, sempre secondo l’accusa, avrebbe solo “finto” il ritrovamento del corpo, non entrando in quella casa ma andando direttamente dai carabinieri. Ebbene, ribatte il giudice Vitelli, posto che è verosimile che Stasi abbia volontariamente o meno evitato le 3 pozze più grandi di sangue, per quanto riguarda le macchie più piccole è nel senso di ritenere probabile che buona parte delle tracce di sangue presenti sulla scena del delitto al momento del riferito ingresso di Stasi fosse totalmente o parzialmente secco. Inoltre non è logicamente possibile ricostruire in generale le esatte superfici […] su cui Stasi in quelle complessive ore che vanno dal primo pomeriggio del fatto alla mattina seguente poggiava i piedi, né le caratteristiche concrete di quei passi compiuti da un soggetto peraltro in un’accertata agitazione psico/fisica. […]Insomma, il tentativo volto a dare valenza significativa ad un fatto negativo quando alcune importanti circostanze storico/ambientali sono ignote rende il ragionamento logico/probatorio in merito altamente debole e inaffidabile. Analogo discorso vale per l’autovettura Golf in uso a Stasi con il quale lo stesso si recava dai carabinieri subito dopo il riferito percorso all’interno dell’abitazione della vittima.

LE TRACCE NEL BAGNO

Nel bagno al piano terra di casa Poggi, nel quale è sicuramente transitato l’assassino (data la presenza di impronte di scarpe insanguinate sul tappetino), è stata trovata un’impronta digitale di Alberto Stasi sul dispenser del sapone. Allo stesso modo, su un’altra parte della superficie del portasapone, era presente il DNA di Chiara. Tuttavia questa circostanza, per il Gup, è riferibile alla manipolazione dell’oggetto in data antecedente al fatto delittuoso da parte appunto di più persone che a vario titolo frequentavano la casa in temi e modalità diverse e non conoscibili.

LE IMPRONTE DELL’ASSASSINO

I Ris hanno individuato numerose impronte insanguinate (alcune visibili, altre allo stato latente o semilatente), riconducibili all’assassino, in cucina, nel salottino e in bagno. Tuttavia nessuna delle scarpe sequestrate all’imputato presentano una suola corrispondente alle caratteristiche morfologiche delle suole delle scarpe che hanno prodotto le impronte rinvenute sulla scena del delitto. È emerso inoltre dagli atti […] la circostanza che Stasi Alberto abbia abbandonato a Londra un paio di scarpe che solitamente usava perché ormai logore. Tali scarpe, comunque, non presentavano un disegno a “pallini” come quello rinvenuto sulla scena del delitto.

IL DNA SUI PEDALI DELLA BICICLETTA

Sui pedali della bicicletta in uso ad Alberto Stasi è stato rinvenuto il DNA di Chiara Poggi. Per l’accusa, si tratterebbe del sangue della vittima “trasportato” dalle suole delle scarpe dell’assassino. Per il giudice e i suoi periti, invece, non vi è l’evidenza scientifica che le microtracce successivamente individuate sui pedali della bicicletta (dopo aver isolato il DNA della vittima) siano di natura ematica. Inoltre, non abbiamo elementi processualmente certi per affermare che quel DNA si sia depositato tramite trasferimento dalla scarpa dell’assassino di materiale liberatosi dalla vittima nel corso dell’omicidio oppure che il DNA fosse già presente sul pedale prima dell’omicidio.

LA BICICLETTA NERA

La mattina dell’omicidio, secondo una testimone, alle 9.10 fuori da casa Poggi era presente una bicicletta nera da donna che, poco più di un’ora più tardi (intorno alle 10.20), non c’era più. La bicicletta in uso a Stasi, invece, era da uomo e con colori ben diversi: l’unione del colore bordeaux del telaio con il colore chiaro degli accessori produce più che verosimilmente l’immagine complessiva di una bici dai colori chiari appunto, immagine in netto contrasto quindi con il sicuro ricordo d’insieme di una bicicletta nera. In riferimento a un’altra bicicletta, questa volta nera e da donna, presente nel negozio di ricambi auto gestito dal padre di Stasi, gli inquirenti non notavano corrispondenza con quella descritta dalla testimone e quindi non procedevano al suo sequestro né tale bici veniva interessata da alcun ulteriore atto d’indagine.

IL MOVENTE

Nel computer di Alberto Stasi, come è noto, è stata trovata una grande quantità di materiale pornografico e, in misura minore, pedopornografico. Chiara, che era a conoscenza della passione del fidanzato per la pornografia, verosimilmente ignorava la “deriva” pedopornografica e, se lo avesse scoperto, sicuramente non l’avrebbe approvato. Ma può essere questo il movente del delitto? Potrebbe essere che Chiara, nelle ore precedenti il suo assassinio, avesse scoperto del materiale disgustoso nel computer di Alberto? Il collegio peritale ed i consulenti tecnici di parte hanno concordemente accertato sul piano tecnico informatico che, per quanto attiene a contenuti multimediali afferenti immagini di natura pedo-pornografica, “lo stato di memorizzazione delle immagini di natura pedo-pornografica, alla data del 13-08-2007, implica che dette immagini fossero in stato di ‘avvenuta cancellazione’ e comunque di ‘indisponibilità alla consultazione’ da parte di un utente e pertanto si conviene che in data 12-08-2007 e 13-08-2007 non possono essere state visualizzate immagini di natura pedo-pornografica da Stasi Alberto o da Poggi Chiara”. Ad analoga conclusione sul piano tecnico/informatico gli accertamenti peritali sono giunti con riguardo alla circostanza che la sera del 12 agosto 2007 non sono stati visualizzati filmati di natura pornografica e/o pedo-pornografica sul PC portatile in uso a Stasi Alberto.

Omicidio Rea: “Cascasse il mondo, io a Pasqua starò con te”, la promessa non mantenuta di Salvatore Parolisi

Melania Rea

di Valentina Magrin

tratto da cronaca-nera.it

“Cascasse il mondo, io a Pasqua starò con te”: può una frase del genere nascondere la chiave di un enigma? Questa frase detta da Parolisi al telefono con l’amante Ludovica Perrone il 17 aprile 2011, un giorno prima dell’omicidio di Melania, pur non dicendoci chi è l’assassino, ben ci spiega il contesto in cui si sono sviluppati i tragici fatti in esame. Un contesto che, ovviamente, non ha nessuna rilevanza qualora l’assassino di Melania sia un estraneo capitato per caso sulla strada della giovane vittima. Ma un contesto, comunque, valido per colorare lo sfondo di tutta la vicenda.

Vediamo dunque come ci si arriva.

Salvatore e Melania, dopo un lungo fidanzamento, si sposano nell’aprile del 2008. Sono belli, sono giovani, sono innamorati e sembrano destinati a una vita felice insieme.  Ma in realtà, come spesso accade, non è tutto oro quello che luccica. Se l’amore di Melania non verrà mai messo in discussione, quello di Salvatore ben presto vacilla: di carattere alquanto “libertino”, il bel caporal maggiore anche da sposato non rinuncia ad intrattenere relazioni extraconiugali, complice il fatto che per lavoro addestra giovani reclute del gentil sesso. Un mese dopo il matrimonio, l’ignara Melania lascia il paese d’origine (Somma Vesuviana, Napoli) e raggiunge il marito a Folignano (Ascoli Piceno).  Alcuni mesi più tardi la giovane sposa rimane incinta: nell’ottobre del 2009 nascerà Vittoria.  Nel frattempo, però, Salvatore ha incontrato un’altra ragazza, Ludovica Perrone, che dopo essere stata una sua allieva è diventata la sua amante. Questa volta, però, la cosa sembra più seria del solito: Ludovica si innamora e, forse, è anche ricambiata. L’amore clandestino si consuma a suon di inganni ai danni di Melania. Capita, ad esempio, che Salvatore si assenti qualche giorno con la scusa del lavoro per passare, invece, alcune notti con Ludovica. I due amanti, con ogni probabilità, trascorrono insieme anche la notte in cui Melania, tornata per qualche tempo a casa dei genitori, ha le doglie e dà alla luce la piccola Vittoria. Tra la fine del 2009 e l’inizio del 2010 Melania scopre il tradimento, si arrabbia, si dispera ma non molla Salvatore, anzi, telefona alla rivale intimandole di lasciarlo stare (concetto che ribadirà anche in un’altra telefonata nell’aprile 2010). Salvatore, da parte sua, sminuisce la relazione extraconiugale e giura a sua moglie che non capiterà mai più, che lei è l’unica donna della sua vita e che Ludovica è stata solo un errore. Per Melania, fino al giorno della sua morte, sarà questa l’unica verità: un marito che ha sbagliato, che si è pentito, che ha giurato che l’amerà per sempre. Salvatore, d’altra parte, le fa credere questo. E invece? Invece Salvatore non ha mollato Ludovica, anzi, più passano i mesi e più il loro rapporto diventa intenso, morboso, ossessionante.

Melania, dopo la nascita di Vittoria, torna a vivere con Salvatore, e a quel punto per l’uomo gli incontri con Ludovica diventano più difficoltosi. Questa situazione viene compensata da lunghissime telefonate e messaggi via chat e Facebook, nei quali Salvatore promette a Ludovica che lascerà la moglie e, per giunta, racconta i passaggi di questa separazione. Una separazione, ricordiamolo, che in realtà non esiste. O meglio, esiste solo per Ludovica, che ci crede talmente tanto che organizza una vacanza per far conoscere Salvatore ai suoi genitori.

Destinazione: Amalfi.

Periodo: Pasqua 2011.

Veniamo dunque ai giorni precedenti la Pasqua del 2011, che per coincidenza sono anche i giorni che precedono la morte di Melania, e vediamo un po’ più da vicino il tenore dei messaggi Facebook tra Salvatore e Ludovica.

il 15 marzo 2011 alle 14.52 Salvatore Parolisi, con lo pseudonimo di “Vecio Alpino”, scrive all’amante:

“Amoruccio mio nn devi stare in ansia io ho quasi risolto tutto ho trovato anche un accordo con lei e le cose stanno andando per il verso giusto mi serve solo un altro po di tempo sicuramente non riuscirò ad essere li da te questa settimana ma ti garantisco che ormai è fatta noi potremmo presto coronare i nostri sogni come posso ti chiamo scusami se in questi giorni non ho potuto…ma ti racconto tuttto al telefono poi ti amo non perdere la fiducia in me manca poco ti amo”

 15 marzo 2011, h14.52, Ludovica Perrone scrive:

Io non ti credo più!!!!! mi avevi giurato che saresti venuto!!!!! che ci saremmo visti visto che sono due mesi!!!!!! sei una merdaaa! xkè io sto qui a piangere e tu continui a sbattertene altamente e a pensare solo alle cose tue!!!!! io ti odio per tutto quello che sto soffrendo per colpa tua! Avevo detto anche ai miei che nn salivo per questo ponte lungo perchè sicurament saresti venuto tu e invece mi toccherà tornare xkè io sola come un cane x4 gg quà nn ci resto.. e fare l’ennesima figura di merda! tanto tu continui per la tua strada!!!!che bisogno c’era di stare li tutto questo tempo! sono 10 gg che neanche ci sentiamo! e nn dirmi che mi chiami xkè me l’avevi detto anche 10 gg fa!!!!!!!sei una merda di uomo e basta! ma chi vuoi prendere xil culo!!!!!!!!!!!!!!ma quali sogni???????ma cosa vuoi coronare??????la nostra storia è uno schifo! nn sei stato capace di darmi un minimooooooo! che ti costava andartene!!!!!!!cosa rimani a fare??????cosa risolvi in un fine settimana???????che c’è ancora da dire da parlare????????ti separi?bene!ci pensano gli avvocati a iniziare le pratiche!!!!!e tu invece nooooo continui a stare là!!!!!! mi fai schifo xkè sei stato il peggiore di tutti!!! perchè almeno degli altri lo sapevo che tipo di stronzi erano.. tu mi hai fatto credere quello ke nn sei!!!! io la fiducia l’ho già persa! si è operata giovediiiiiiiiii!!!!! e tu dopo una settimana nn te ne puoi andare?????? sapendo io come sto!!!!!????? tu nn metti da parte niente di quello che vuoi fare tu per venire un attimo incontro a me.. dopo tutto quello che sto passando!!!!mi viene la rabbia solo a leggerla quella frase.. “manca poco..” ma cosa????????me lo stai dicendo d mesi!!!!!!e nn sei stato capace neanche di liberarti per questo fine settimana.. e stiamo al 17marzo!!!!!!!ripetermi che mi fai schifo è poco!!!!!!ti avevo giurato che se nn venivi dopo tutto il tempo che ti ho dato x me finiva qui.. e cosi è! perchè a differenza tua quando faccio una promessa io la mantengo! la corda la stai tirando da troppo tempo.. e quando si ama davvero non ci si comporta in questo modo! sei l’ennesimo fallimento…il peggiore di tutti.. e ti giuro sulla mia vita che stavolta io nn torno indietro.. le stronzate valle a raccontare a qualcun’altra.. io sono satura e finita.. grazie per avermi fatto arrivare a questo punto.. sei riuscito a farmi toccare il fondo anche se avevo giurato a me stessa che nessuno mai ci sarebbe più riuscito”.

 16 marzo 2011, h13.35, Vecio Alpino scrive:

“nn merito il tuo disprezzo le cose che mi dici sono bruttissime ma me ne prendo il merito se sei arrabiata con me è colpa mia ma nn serve questo purtroppo le cose non sono cosi facili come credi e neanche gli avvocati sono cosi semplici come la pensi tu ci sono tante cose che bisogna chiarire mi dispiace che tu la prenda sempre in un modo ma la verita è che io sto facendo tutto quello che ti ho promesso e andrò fino in fondo anche se qualcosa tra di noi cambiera non sono un fallimento ne mi reputo altro ti amo e basta muuuuuuuuuua”

 16 marzo 2011, h18.14, Vecio Alpino scrive:

“Sei arrabbiatissima ed è normalissimo ma dammi la possibilità di spiegarmi a telefono ti devo dire solo due cose sabato sicuramente ti chiamero e parleremo se vorrai ascoltarmi fai bene a trattarmi cosi me lo merito dopo tutto quello che ti ho promesso e normale che tu ti comporta cosi con me l’odio e significato di amore quindi vuol dire che qualcosa di buono sto coglione ti ha dato ti chiedo solo di ascoltarmi per chiarire sabato e dopo prenderai le tue decisioni non essere un vulcano pieno di lava le cose che dovevo fare l’ho fatte mancano alcuni dettagli ho trovato un accordo con lei voglio rispettarlo perche mi ha promesso di lasciarmi in pace dopo senza chiedermi alimenti… ti spiego tutto con calma sabato mi dispiace di farti soffrire cosi ma anchio sto malissimo leggendo tutto questo ciao scri muuuuuuuuuua”

 16 marzo 2011, h22.03, Vecio Alpino scrive:

“Buonanotte passerottino mio muuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuua sei la mia vita e tu lo sai sono stato uno stronzo.. adesso me ne rendo conto o meglio me ne ero gia accorto prima di aver dato troppo afetto o riconoscenza a questa donna che alla fine non amo ma a te si…..il discorso non è quello di aver fatto o non fatto poco o tanto il problema è che io o sbagliato tutto e quindi ho portato anche me stesso all’esasperazione e adesso mi va bene tutto hai ragione quando mi dici che bastava fare le valigie e tutto finisce ma non è proprio cosi i l egali sono dei pezzi di merda per non dire i giudici o di chi ha fatto questo schifo di legge del cazzo che sono tutte per la donna e nessuna per l’uomo….mi tocca dagli anche altri soldi che tu sai che mi dovevano arrivare e ci sono visto la comunione dei beni che ho fatto……in piu non cè l’immediatezza di accettarlo da parete sua quindi dovrò pure accudirla fino alla separazione sempre se poi lei accetterebbe allora ho abbassato la tesya ed ho trovato un accordo con lei molto piu tranquillo……e sopratutto conveniente anche per il mio futuro con te perche tu sarai con me che ti piaccia o no non potrai ignorarmi per tutta la vita prima o poi mi aprirai la porta del tuo cuore io ho la chiave…..tu si na cosa grand pme non dimenticarlo maiiiiiii muuuuuuuuuuuuuuua”

 16 marzo 2011, h22.07, Ludovica Perrone scrive:

a me nn me ne frega niente nè dei soldi nè degli accordi nè della legge che tu e il tuo avvocato nemmeno conoscete xkè tu nn gli devi una lira ed ora che questa si trovi un lavoro!!!!!!!o tu te ne vai di casa subito o è finita per sempre basta nn ci sono alternative.

 16 marzo 2011, h22.34, Ludovica Perrone scrive:

A te va bene tutto a me non va piu niente!i soldi se vorrà chiederteli te li chiederà sempre..se vuole romperti ti romperà sempre..qualunque cosa tu accetti ora..con la differenza che se tu ora nn prendi posizione e te ne vai i tuoi problemi futuri li affronterai da solo..io nn accetto che tu continui a vivere con lei e a stare con lei te ne devi andare punto non ci sono alternative..poi cos’è mi puoi chiamare sabato xkè vai a lavare l macchina o a farti i capelli??????poi domenica risali con tutta la sacra famiglia??????e lunedì si ricomincia la relazione telefonica 8-1630..???????ma nn ti fai schifo da solo?!??ma devo dirtelo io che sei l’ultimo uomo sulla faccia della terra che tratt la persona che dice di amare dopo 2anni ancora così???per cosaaaaaaa???????per dei schifosissimi soldi!!!!!!!!cosa prevede questo accordo?????che vivi con lei per ancora altro tempo????fino a pasqua??fino a che nn te ne vai da ascoli???fino al secondo compleanno di vittoria???fino a quando ancora vuoi trattarmi come una pezza????o meglio pensi di farlo..xkè tanto tu sei tanto sicuro che la cretina poi ti riprende no???credi male..e te l’ho già detto..devo ricordarti gianluca???quanti anni è durata con lui e quanto ero innamorata?se vuoi saperlo mi ha richiamato di nuovo solo 2 giorni fa!!!!e sono passati anni..ma se xme una persona muore muore..io ho 26 anni..quasi 27..e voglio la mia vita la mia felicità oraaaa!!!!!!hoperso anche troppo tempo e nn è stato giusto…io nn voglio iù pagare per i tuoi errori..oraaa e nn tra altre settimane altri mesi..e visto che tu nn puoi darmela la cercherò in qualcun’altro..e allora magari quest’estate è capace che una vacanza insieme a qualcuno che nn voglia perdere neanche un secondo della sua vita con me riuscirò a farmela…invece che rimanere delusa da te per l’ennesima volta..per l’ennesima vacanza mancata..l’ennesima…..se nn sei capace..se nn hai il carattere..se sei una persona che con lei sa solo abbssare la testa..lo sarai ora come tra 10anni..e allora ogni volta ti piegherai..soccomberai…per carità…nn so che farmene di una vita con un uomo cosi..nn mi cercare più…te lo chiedo per favore BASTA.”

 17 marzo 2011, h17.14, Ludovica Perrone:

“Sei veramente l’ultimo degli uomini…una cosa ti avevo chiesto..di potermi chiamare perchè ne avevo troppo bisogno per capire..perchè cosi sto troppo male…forse tu neanche ti rendi conto di quanto sto male io..di come nn sto più vivendo per questa situazione…ma tanto a te che te ne frega..basta che continui a fare quello che vuoi poi il resto nn conta.. ti sei passato la tua bella giornata di festa no???nn ti ci sei staccato un attimo da lei no..?devi ringraziare che nn sono una stronza..come lo sei tu e come lo è la persona che t i sei sposato..perchè se avessi voluto rovinarti ti avrei chiamato veramente fregandomene delle conseguenze e pensando solo a quello che era giusto per me..ma io nn sono come te…anche se nn mangio anche se continuo solo a piangere da giorni..per una merda come te..sei un fallito..non sei in grado di fare nulla..e nonostante tutto continuo a stare cosi male..se penso a tutto quello che mi avevi detto..che schifo..io domani vado alla vodafone o cambio numero o blocco le chiamate dal tuo numero.”

 18 marzo 2011, h17.42, Vecio Alpino:

“Basta non ho passato un cazzo di niente con lei non ho fatto una virgola di quello che tu hai scritto si è vero mi faccio schifo da solo di averti fatto tante promesse e mantenute 0 pero nn ho mai preso in giro te e i tuoi sentimenti ne i miei non posso nn posso ho preso accordi con lei ma no fino all’infinito il tuo mess.. l’ho letto ora e cio pensato di chiamarti anche ieri come oggi ma il tempo è di merda piove solo e nn sono potuto uscire per niente domani ti chiamo e ti spiego tutto quanto spero che tu non soffra piu sono deluso piu       di te di come sia andata la cosa sono nervoso come te non dormo la notte se tu mi creda o no ma nn puoi chiedermi certe cose perche non ho la possibilita di farle e tu lo sai e nn devi rimanerci sempre male io sono un pezzo di merda un mascalzone un fallito e tante altre cose brutte ma merito almeno un chiarimento e domani ti chiamerò e ti dirò tutto ma ti chiedo per favore di non peggiorare le cose di ascoltarmi per potermi spiegare al meglio con te ti dirò tutto quello che è successo tutto quello che ho detto e non ho.tu sei la cosa piu importante a cui credo e voglio e no n preoccuparti i nostri accordi non vanno per le lunghe massimo una settimana poi dovrà sparire dalla mia vista… pero come dici tu domani potro senza problemi e ti chiedo di avere pena per un coglione pezzo di merda dom ani ti chiedo di ascoltarmi e nn starci male ti prego nn meriti di starci cosi male ti ripaghero anche gli interessi ma credimi le cose non stanno come tu possa credere ti prego di aspettare a domani te l’ho chiedo come un verme che sono in ginocchio perche io ti amo e ssoffro quanto te”

 3 aprile 2011, h12.00, Ludovica Perrone:

“Lo so che mi ami…xò non chiedermi di capire o di accettare altre proroghe..spero che tu abbia detto chiaramente al padre che questa settimana se ne devono andare… ieri ho anche litigato con mia mamma per te…per la questione di amalfi..xkè lei nn crede che tu alla fine venga e nn voleva prendere impegni o avvisare lilla per nulla..poi te lo spiego…ma io gli ho giurato che tu saresti venuto…perciò spero che tu mi eviterai almeno questa figura di merda…xkè altrimenti veramente le nostre strade si dividerebbero senza scuse o ragioni che tengano..baci.”

È  innegabile lo stress e la tensione tra Salvatore e Ludovica in questo scambio di messaggi. Salvatore rischia di venire inghiottito dal castello di menzogne che ha costruito in questi mesi. Perché se non possiamo dire che Salvatore è un assassino, sicuramente possiamo affermare che è un bugiardo. Tra le due definizioni c’è molta differenza, ovviamente. Ma noi qui vogliamo concentrarci solo sul rapporto tra lui e Ludovica, senza entrare nel merito di tutti gli indizi e le prove a suo carico o a sua discolpa.

Il 18 aprile 2011, pochi giorni dopo i messaggi sopra riportati, Melania e Salvatore si preparano a trascorrere le vacanze di Pasqua con la loro bambina e le loro famiglie di origine. La partenza è prevista per l’indomani. La mattina Melania e Vittoria fanno due visite mediche accompagnate da un marito e padre premuroso. Poi i tre vanno al supermercato a comprare le ultime uova di pasqua. Tornati a casa verso ora di pranzo, Melania inizia a tirare fuori dagli armadi gli abiti da portare in vacanza. Dopo una telefonata della mamma di Melania, la famiglia Parolisi decide, vista la bella giornata, di uscire un po’, forse per portare Vittoria alle giostrine, in attesa di un appuntamento a casa di amici previsto per le 16. Salvatore va in garage a prendere la macchina e lì trova anche la valigia che servirà loro per partire. Dato che c’è, la prende e la mette nel bagagliaio dell’auto, così poi la porterà in casa. Chissà se in quel frangente, nella mente di Salvatore ha riecheggiato la promessa fatta la sera prima a Ludovica: “Cascasse il mondo, io a Pasqua starò con te”.

Quel che è certo è che, ancora una volta, la promessa non verrà mantenuta: il 20 aprile 2011, quattro giorni prima di Pasqua, il cadavere di Melania Rea verrà trovato in un boschetto di Ripe di Civitella. L’omicidio risale a 2 giorni prima. Salvatore, in quei giorni, avrà ben altro a cui pensare.

L’avv. Gionni: “Il Giudice ha riconosciuto la validità delle prove prodotte”

Salvatore Parolisi

di Valentina Magrin

tratto da Delitti&Misteri (Numero 1, Anno II, gennaio 2013)

Lo scorso 2 gennaio il giudice Maria Tommolini del Tribunale di Teramo ha reso note le motivazioni della sentenza che il 26 ottobre 2012 ha condannato Salvatore Parolisi all’ergastolo per la morte della moglie Carmela (Melania) Rea.

Il giudice si è soffermato sulle prove scientifiche, sui riscontri autoptici e sui riscontri sulle celle telefoniche, per giungere infine a una ricostruzione dei fatti che, per alcuni aspetti, si può definire “inedita” rispetto a quella prospettata dalla Procura. Il 18 aprile 2011, infatti, Salvatore avrebbe ucciso Melania dopo che questa gli avrebbe negato un rapporto sessuale a Ripe di Civitella. Sarebbe dunque questo il detonatore, l’episodio scatenante giunto al culmine di un rapporto di coppia alquanto teso. Melania, infatti, da tempo aveva scoperto i tradimenti di Salvatore con la soldatessa Ludovica Perrone e, anche se (a torto) credeva che il loro legame fosse finito, non perdeva occasione per rinfacciarglielo.

Salvatore, Melania e la loro piccola Vittoria, sempre secondo la ricostruzione del giudice, quel giorno maledetto sarebbero effettivamente passati per Colle San Marco (dove però Melania non avrebbe gradito la scarsa igiene delle altalene) prima di recarsi nel boschetto di Ripe di Civitella, dove poi si è consumata la tragedia ed è stato ritrovato il corpo della vittima, martoriato da ben 35 coltellate. Questo passaggio a Colle San Marco sarebbe giustificato dal fatto che Salvatore “pur essendo un bugiardo, non ha avuto il tempo di proporre una tesi del tutto avulsa da quanto effettivamente verificatosi”.

Sono proprio questi due aspetti, il movente del rifiuto sessuale e la sosta a Colle San Marco, a far sorgere alcuni interrogativi circa la ricostruzione del giudice Tommolini. Ne abbiamo parlato con Mauro Gionni, avvocato di parte civile della famiglia Rea.

Avvocato Gionni, le motivazioni della sentenza di condanna di Salvatore Parolisi offrono una ricostruzione dei fatti per alcuni aspetti originale, è d’accordo?

Si tratta di una sentenza di condanna all’ergastolo, una sentenza che riconosce la responsabilità di Parolisi al di là di ogni ragionevole dubbio, come è scritto più volte. Questa sentenza riconosce la validità delle questioni che abbiamo posto, soprattutto dal punto di vista medico-legale, dal punto di vista delle celle telefoniche e dal punto di vista dei pollini. Quindi, da questo punto di vista, credo che la sentenza riconosca esattamente l’attribuibilità del fatto a Parolisi. Sarà la difesa, qualora lo riterrà opportuno, a dover impugnare la sentenza e allora si andrà in Appello.

Da una parte, per quanto riguarda i riscontri scientifici e autoptici, nelle motivazioni non c’è stata alcuna sorpresa, ma per quanto riguarda la ricostruzione dei fatti qualcosa di inaspettato sicuramente c’è…

Una qualsiasi persona leggendo queste motivazioni trarrà le sue conclusioni. Per quanto mi riguarda, io ho proposto la mia tesi durante il processo, anche con una memoria piuttosto articolata. Si tratta di una tesi molto vicina a quella della Procura, una tesi fondata sui fatti.

Un altro aspetto rilevante di queste motivazioni è il fatto che il rapporto di Parolisi con l’amante Ludovica Perrone passa quasi in secondo piano. Eppure Salvatore, pochi giorni dopo l’omicidio e in coincidenza con le vacanze pasquali, sarebbe dovuto andare ad Amalfi per incontrare i genitori della Perrone e quindi “ufficializzare” la loro storia. O, almeno, questo è quello che aveva fatto credere a Ludovica, dal momento che invece Melania era all’oscuro di tutto.

Il ruolo marginale della Perrone ci potrebbe stare. Nella sentenza, quando si parla di “dosimetria della pena” (p. 64, ndr), si afferma giustamente che quello di Melania è stato un delitto “maturato nell’enorme frustrazione vissuta dal Parolisi nell’ambito di un rapporto divenuto impari per la figura ormai dominante di Melania”. Melania, dopo la scoperta dei tradimenti, aveva via via assunto una predominanza caratteriale nei confronti del marito, lo faceva sentire uno schifo. Questo è un modo di comportarsi che può creare una pressione psicologica quotidiana, che io credo debba essere più forte e sconvolgente di un qualunque rifiuto sessuale. Per quanto riguarda la mia idea sul movente, la rimando alle conclusioni di Parte Civile, a cui sostanzialmente resto fedele.

Andiamo dunque a leggere quanto riportato a pagina 5 delle suddette conclusioni scritte dall’avvocato Gionni: Parolisi, nei giorni successivi alla scomparsa di Melania, tenta di “oscurare il movente del delitto, il permanere della sua relazione con Ludovica, ormai giunta ad una necessaria svolta e la conoscenza da parte di Melania che questa relazione non era finita e del fatto che avrebbe trascorso la Pasqua con l’amante ed i suoi genitori”.

 Avvocato, torniamo a parlare del rapporto tra Salvatore e Melania. Melania rimproverava il marito per la sua relazione extraconiugale, ma allo stesso tempo lo amava ancora molto…

Innamorati si può esserlo… ma è sicuramente più fastidioso far sentire una persona uno schifo piuttosto che negarle una volta o due il proprio corpo a livello sessuale, soprattutto all’interno di una coppia… Quello di cui si parla nella sentenza, quell’atteggiamento psicologico ormai dominante da parte di Melania, quel far sentire Salvatore in colpa, farlo sentire una schifezza per quello che aveva fatto… ecco, credo che quell’atteggiamento creasse più problemi rispetto al rifiuto di un rapporto sessuale…

Ma il giudice nelle motivazioni parla proprio del rifiuto di un rapporto sessuale come motivazione scatenante dell’omicidio…

Nella sentenza è contenuto anche l’aspetto di cui ho appena parlato che a me sicuramente convince di più dell’altro.

Parolisi sapeva che la moglie aveva dei problemi di salute (una piaghetta prima e un’ernia poi), per cui non si capisce perché avrebbe dovuto pretendere un rapporto sessuale in un luogo “scomodo” come il boschetto di Ripe di Civitella. Avrebbe avuto più senso tentare l’approccio in casa…

A ciò si aggiunga il fatto che, se pure non vedeva Ludovica da mesi, non era certo il tipo di persona che aveva difficoltà a trovare altre occasioni…

Tra le sue allieve, ad esempio, aveva un certo fascino…

Diciamo che il suo interesse si rivolgeva ad altre donne… abbiamo visto agli atti che il suo interesse si rivolgeva indistintamente a uomini e donne… Ad ogni modo, tornando alle motivazioni della sentenza, ci sono tutta una serie di aspetti insindacabili che non vorrei venissero trascurati, sui quali abbiamo dibattuto per mesi e sui quali si fonda la sentenza: l’ora della morte, la compatibilità delle celle telefoniche e i dati autoptici. Laddove poi viene fornita la ricostruzione, io rimango più aderente a quella che era la mia proposta e a quella che aveva proposto l’accusa. Ma il risultato non cambia. Non solo, la ricostruzione del giudice ci dimostra che, anche volendo stare alle obiezioni sollevate dalla difesa, cioè che il cane molecolare potesse aver indicato la presenza di Melania nei pressi di Colle San Marco e che Alfredo Ranelli (il proprietario del chiosco di Colle San Marco, ndr) alle 14.40 potesse aver visto la famigliola vicino alle altalene, i tempi sarebbero comunque compatibili con l’omicidio per mano di Parolisi.

Perché il giudice è convinto che Salvatore e Melania siano effettivamente stati a San Marco?

Non lo so, non saprei rispondere a questa domanda.

Questa deduzione si basa esclusivamente sulla testimonianza di Ranelli?

Esatto, tuttavia sulla sentenza c’è scritto che sono molto più credibili le versioni date dalle persone nell’immediatezza dei fatti. Ranelli, nell’immediatezza dei fatti, quando Mario Barbizzi (un avventore del bar del Cacciatore che aveva accompagnato Parolisi a fare un giro per cercare Melania, ndr) va con Parolisi al chiosco, dopo aver ascoltato la descrizione di Melania dice di non averla assolutamente vista. Quindi, nell’immediatezza Ravelli nega di averla vista. Ma nel verbale successivo cambia e dice di aver forse visto la famigliola alle 14.40. Ad ogni modo, secondo la sentenza anche se ciò fosse vero i tempi di questo passaggio a San Marco sarebbero compatibili con l’evento omicidiario. A mio avviso questa resta, comunque, una possibilità eventuale. Mettiamola così: anche ammesso che la ricostruzione fosse quella prospettata dalla difesa, i tempi sarebbero comunque compatibili.

La famiglia Rea è soddisfatta di queste motivazioni?

Certo. Parolisi è responsabile al di là di ogni ragionevole dubbio. Non c’è nessun’altra ipotesi che non faccia capo che a lui.

Quali saranno le prossime tappe a livello processuale?

I termini per le motivazioni sarebbero scaduti il 24 gennaio, quindi il giudice le ha consegnate con 20 giorni di anticipo. A partire dal 24 gennaio, ci saranno altri 45 giorni per gli avvocati per impugnare la sentenza. Da lì, se si farà l’Appello, il fascicolo andrà alla Corte d’Appello de L’Aquila.

 

 

 

 

Fiaccolata per Emanuela Orlandi – 22 giugno 2013

Un ricordo della fiaccolata in occasione dei 30 anni dalla scomparsa di Emanuela Orlandi. Una fiaccolata piena di colori e di sorrisi di speranza, la speranza di chi ancora aspetta verità e giustizia. Per tutti quelli che c’erano, per la famiglia Orlandi e soprattutto per Emanuela, il cui ricordo ci ha riuniti. La verità è in cammino e nessuno potrà fermarla. La verità rende liberi.