di Valentina Magrin
tratto da nottecriminale.it
Succede nei weekend, in luoghi appartati della campagna toscana, nelle notti senza luna.
IL DELITTO DI SCANDICCI – Il 6 giugno 1981, un sabato sera, due fidanzati di 30 e 21 anni, Giovanni e Carmela, cenano a casa della ragazza. Dopo aver mangiato, i ragazzi escono, promettendo di far ritorno per mezzanotte. I due si appartano a bordo della Fiat Ritmo di lui in via Mosciano Vecchia, una strada isolata di Scandicci (Firenze) non molto lontano dalla discoteca Anastasia. La mattina seguente, non vedendoli rientrare, le rispettive famiglie danno l’allarme. L’auto di Giovanni viene notata verso le 10: a bordo, sul posto di guida, c’è ancora Giovanni, seminudo e con la testa reclinata sul volante. » stato ucciso con tre colpi di pistola e numerose coltellate. Carmela, a sua volta, E’ stata raggiunta da cinque proiettili. Poi il suo corpo è stato trascinato fuori dall’auto per una ventina di metri e seviziato fino alla completa e precisa asportazione del pube. Ai due ragazzi non è stato portato via alcunchè, quindi non si è trattato di una rapina finita male. Sul luogo del delitto vengono ritrovati cinque bossoli di una Beretta calibro 22 Long Rifle. I proiettili sono di marca Winchester serie H.
Le indagini procedono a tentoni. Ormai è evidente che ci si trovi davanti a un vero e proprio serial killer, ma la sua identità resta avvolta nel mistero. Il sostituto procuratore Silvia Della Monica elabora quindi un trabocchetto, con la speranza che l’assassino faccia un passo falso: chiede ai giornalisti di pubblicare la notizia che Paolo Migliorini, poco prima di morire, avrebbe fatto in tempo a fornire importanti informazioni circa l’identità del mostro. Purtroppo, però, anche questo tentativo si dimostrerà un buco nell’acqua: l’assassino, vuoi perchè troppo sicuro di sè o vuoi perchè troppo incosciente, resta fermo immobile nel suo angolo in attesa di tornare a colpire. Il 29 giugno 1982 viene diffuso un identikit relativo all’assassinio di Calenzano (22 ottobre 1981): si tratta di una persona vista sul luogo del delitto, non necessariamente il mostro. Per l’ennesima volta, tuttavia, nessuno si fa avanti.
LA PISTA SARDA – Nel frattempo, gli atti relativi ai quattro duplici omicidi vengono riuniti in un’unica istruttoria affidata al giudice Vincenzo Tricomi del Tribunale di Firenze, che il 6 novembre 1982 emette un mandato di cattura per Francesco Vinci, detto “cecchino”, un quarantenne originario di Villacidro (Cagliari) ma residente a Montelupo Fiorentino. L’uomo, che si trova già in carcere per maltrattamenti in famiglia, ora è accusato di un duplice omicidio avvenuto nella notte tra il 21 e il 22 agosto 1968 a Lastra A Signa (Firenze). Allora morirono due amanti, Antonio Lo Bianco e Barbara Locci. Vinci era a sua volta un amante della Locci. Per quest’omicidio sta già scontando una pena di 16 anni il muratore sardo Stefano Mele, marito di Barbara Locci. Ma cosa c’entra l’omicidio del 1968 con gli altri, e perchè viene coinvolto Francesco Vinci? In Procura a Firenze è stata fatta una strana scoperta (forse casuale, forse indotta): all’interno del fascicolo sull’omicidio del 1968 sono stati trovati i bossoli con cui la coppia d’amanti era stata uccisa. Si tratta di proiettili marca Winchester serie H. L’arma utilizzata è la stessa di quella che ha sparato dal 1974 al 1982 uccidendo altre otto persone. Francesco Vinci era stato tirato in ballo subito dopo il delitto Locci e Lo Bianco da Stefano Mele, il marito della Locci, che aveva dichiarato di aver partecipato all’omicidio ma che a sparare era stato Vinci. Mele, in seguito, aveva ritrattato ed era finito da solo in carcere. Ora però una serie di accertamenti porta di nuovo a sospettare di Vinci: Stefano Mele fa di nuovo il suo nome e, inoltre, pare che nel 1968 la Beretta calibro 22 fosse nella disponibilità di Vinci. Ma il giudice Vincenzo Tricomi mette in guardia: “Se anche si proverà che Vinci è responsabile di quel duplice omicidio (quello del 1968, ndr), questo non vuol dire affatto che egli abbia compiuto anche gli altri. La pistola potrebbe infatti essergli stata sottratta, potrebbe averla smarrita, potrebbe averla venduta al mercato clandestino della malavita, potrebbe averla data lui stesso a un’altra persona”.
IL DELITTO DI GIOGOLI – Il giudice Tricomi, che di lì a poco verrà sostituito dal giudice Mario Rotella, aveva ragione: Francesco Vinci è in carcere, ma l’assassino, armato della solita calibro 22, colpisce ancora. » il 9 settembre 1983. Questa volta le vittime sono due turisti tedeschi, entrambi maschi. Forse il killer viene tratto in inganno perchè uno dei due ha i capelli lunghi e la corporatura esile. I ragazzi si trovavano in località Le Gore, vicino a via di Giogoli, a bordo di un furgoncino Volkswagen. L’assassino spara contro di loro ma, resosi conto che non c’è una donna, li risparmia delle coltellate e delle mutilazioni.
Il 26 gennaio 1984 Francesco Vinci viene definitivamente scagionato dall’accusa di essere l’autore del duplice omicidio del 1968. Non solo: il sardo non avrebbe niente a che fare nemmeno con gli altri omicidi attribuiti al mostro ed esce quindi dall’inchiesta (morirà nel 1993, incaprettato insieme a un suo amico nel bagagliaio di un’auto in fiamme). Per l’omicidio di Lastra A Signa il giudice Rotella firma due nuovi mandati di cattura, questa volta per Giovanni Mele (fratello di Stefano) e Piero Mucciarini (cognato di Stefano). I due si proclamano innocenti ma ad accusarli, ancora una volta, è Stefano Mele. Ai due viene anche inviata comunicazione giudiziaria per gli altri cinque duplici delitti. Possibile che il cosiddetto “mostro di Firenze” siano, in realtà, due persone? “Da me non sentirete mai dire questa parola ñ dichiara il giudice Rotella ñ il mostro non esiste come concetto, esiste qualcuno che successivamente ha reiterato più volte il delitto del 1968”.
IL DELITTO DI VICCHIO – L’assassino (o gli assassini) continua imperterrito a tracciare la sua lunga scia di sangue, beffandosi degli inquirenti che, proprio quando pensano di averlo arrestato, si ritrovano punto e a capo. Claudio e Pia sono la tredicesima e la quattordicesima vittima di quella maledetta pistola. I due ragazzi di Vicchio del Mugello la sera di domenica 29 luglio 1984 si erano appartati a bordo della Fiat Panda di Claudio in località Boschetta. Quando vengono colpiti dalla calibro 22 si trovano sul sedile posteriore dell’auto. Poi la ragazza viene trascinata a pochi metri dall’auto e le vengono asportati il pube e il seno sinistro. Per la prima volta l’assassino infierisce anche sui genitali del ragazzo.
Giovanni Mele e Piero Mucciarini, esattamente come Spalletti e Vinci, vengono rimessi in libertà. Nel frattempo, il 1 agosto 1984, il Procuratore Aggiunto di Firenze Carlo Bellito annuncia la costituzione di una Squadra Anti Mostro (SAM), composta dai Sostituti Procuratori Francesco Fleury, Paolo Canessa, Adolfo Izzo e Pier Luigi Vigna con un nucleo interforze di polizia e carabinieri. In seguito verrà mandato a Firenze anche il direttore della polizia criminale, il questore Lugi Rossi. La situazione è davvero critica: “Isolarsi è pericoloso. Il mostro può commettere altri omicidi. Lo ricordo a tutte le coppie e le invito, se devono appartarsi in macchina, a unirsi ad altre auto, a stare in gruppo e non da soli” queste le parole del Procuratore Aggiunto Carlo Bellito nove mesi dopo il delitto di Vicchio.
L’ULTIMO DELITTO DEL MOSTRO – Un appello che forse le giovani coppie fiorentine ascoltano, ma che evidentemente non supera il confine italiano. Sono infatti due francesi le ultime vittime del Mostro di Firenze: Jean-Michel Kraveichvili e Nadine Mauriot vengono aggrediti mentre si trovano all’interno della loro tenda da campeggio in località Scopeti (Firenze). » l’8 settembre 1985. Nadine muore sul colpo. Jean-Michel, ferito, prova a scappare ma il killer lo raggiunge, lo finisce a coltellate e cerca di occultarne il corpo. Anche Nadine viene trascinata fuori dalla tenda, le vengono asportati seno sinistro e pube e poi l’assassino la rimette all’interno della tenda. Pare quasi che voglia ritardare la scoperta dei due cadaveri, forse perchè ha in mente un sadico scherzetto: infatti, mette in una busta un lembo del seno della ragazza e lo spedisce al Pm Silvia Della Monica. Probabilmente vuole lanciare una sfida agli inquirenti: “ho ucciso ancora, trovate i corpi”. La busta, però, arriverà in Procura due ore dopo la scoperta dei cadaveri.
Da questo momento in poi il mostro di Firenze non colpirà più. Che cosa può essere successo? Forse è morto, forse si è ammalato, forse è finito in carcere per altri motivi? Non si saprà mai.
PIETRO PACCIANI – Dall’ultimo omicidio bisogna attendere 6 anni per la prima, importante svolta nelle indagini: il 30 ottobre 1991 Pietro Pacciani, un contadino sessantaseienne di Mercatale (Firenze) già in carcere con l’accusa di aver stuprato le sue 2 figlie, viene raggiunto da un avviso di garanzia firmato dal Procuratore Capo Pier Luigi Vigna e dal Sostituto Procuratore Paolo Canessa in relazione ai delitti del mostro di Firenze. In realtà due lettere anonime (una del 1985 e una del 1987) già avevano invitato a indagare su di lui. Pacciani, inoltre, era già stato schedato nella lista dei possibili mostri. La storia criminale del violento contadino di Mercatale era iniziata molto tempo prima, nel 1951. Allora il giovane Pacciani aveva sorpreso la fidanzata con un altro uomo. Furibondo, il contadino aveva ucciso a coltellate il rivale e aveva costretto la fidanzata ad avere un rapporto sessuale con lui accanto al cadavere. Al processo per quell’omicidio (per il quale verrà condannato a 13 anni di carcere e tornerà libero poco prima dell’omicidio di Lastra a Signa del 1968) aveva dichiarato di essere impazzito quando aveva visto il seno sinistro della fidanzata scoperto. Fatalità, è proprio sul seno sinistro delle vittime che il mostro di Firenze si è spesso accanito. Nel corso delle indagini avviene un altro episodio che sembra incastrare definitivamente Pietro Pacciani: il 29 aprile 1992, durante il terzo giorno (se ne conteranno 12) di perquisizioni, nell’orto del contadino viene trovato un proiettile Winchester calibro 22 con la lettera H impressa sul fondo. Il proiettile è incastrato in una colonnina. “Sono tutti imbrogli. Quel proiettilino l’hanno messo loro quando io non c’ero” così Pacciani, che con loro intende polizia e carabinieri, si difende.
Sempre nel corso delle perquisizioni viene trovato quello che gli inquirenti definiranno un “bazar di indizi”: ritagli di giornale relativi ai delitti, foto porno, quadri con simboli magici, oggetti personali riconducibili a una vittima (in particolare un album da disegno e un porta sapone di Horst Meyer), strani appunti Il 16 gennaio 1993 Pietro Pacciani viene arrestato e condotto nel carcere di Sollicciano con l’accusa di essere l’autore di sette duplici omicidi, quelli avvenuti tra il 1974 e il 1985. Per il primo, quello del 1968, è solo indiziato.
IL PROCESSO – Un anno più tardi, il 19 aprile 1994, nell’aula bunker di Santa Verdiana si apre il processo che vede imputato il contadino di Mercatale. La battaglia tra accusa e difesa, incentrata su quelli che per una sono indizi e per l’altra errori di valutazione, si conclude il 1 novembre dello stesso anno con la condanna all’ergastolo dell’imputato per 14 dei 16 omicidi (tutti tranne quelli del 1968): “Così uccidono un innocente!” dice Pacciani alzando le mani giunte al cielo durante la lettura della sentenza.
I COMPAGNI DI MERENDE – Nel 1995 diventa capo della Squadra Mobile di Firenze Michele Giuttari. Con lui prende sempre più piede una nuova pista investigativa, che vede al centro dei sospetti alcuni personaggi che avevano testimoniato nel corso del processo a Pacciani e che, pare, ruotano intorno a un ambiente di messe nere e riti satanici con al centro la casa di un certo Salvatore Indovino (un mago morto nel 1986). Si tratta, in particolare, di Mario Vanni (il postino di San Casciano), Giancarlo Lotti, Fernando Pucci e Giovanni Faggi. Sono coinvolte anche due prostitute. » la cosiddetta inchiesta-bis sul mostro fi Firenze.
A cinque giorni del processo d’Appello per Pacciani, il 24 gennaio 1996, è Vanni, un suo “compagno di merende” (definizione da lui utilizzata nel corso del processo di primo grado: “Io con Pacciani sono solo andato a fare delle merendine”), a ricevere un avviso di garanzia per concorso negli omicidi commessi nei dintorni di Firenze fino al settembre 1985. La svolta si rende evidente quando, il 12 febbraio, Vanni viene arrestato (in relazione all’ultimo omicidio del mostro) e il giorno successivo la sentenza di secondo grado assolve Pacciani per non aver commesso il fatto. “Un nulla probatorio” contro Pacciani, così affermerà il giudice dell’Appello Francesco Carvisiglia dopo aver ripercorso gli indizi a carico del contadino.
L’inchiesta bis diventa predominante. Giancarlo Lotti e Fernando Pucci dichiarano di aver assistito all’omicidio del 1985 e che a uccidere i due francesi sarebbero stati Pacciani e Vanni. Il 13 marzo 1996 Lotti dichiara di aver assistito anche all’omicidio di Vicchio del 1984 (che sarebbe stato compiuto sempre da Pacciani e Vanni) e il giorno successivo viene indagato anche lui per concorso in omicidio per i delitti del 1984 e del 1985. Nei mesi seguenti ammetterà di aver fatto da palo agli ultimi cinque omicidi del mostro e di aver sparato lui stesso nell’omicidio di Giogoli. Tuttavia Lotti non è una persona affidabile e ha parecchi problemi di alcool, quindi anche le sue dichiarazioni vanno prese con le pinze.
TUTTO DA RIFARE – Il 12 dicembre 1996 la Cassazione annulla la sentenza di assoluzione di Pietro Pacciani e dispone un nuovo processo. Nel frattempo, a conclusione dell’indagine-bis, viene chiesto il rinvio a giudizio di Mario Vanni, Giancarlo Lotti e Giovanni Faggi (coinvolto da Lotti nei delitti del 1981 e 1985). Per tutti e tre il processo di primo grado inizia il 20 maggio 1997.
IL SECONDO LIVELLO – Proprio mentre in aula si discute dei “compagni di merende”, in attesa del nuovo processo a Pietro Pacciani, il Sostituto Procuratore Paolo Canessa apre l’ennesimo filone d’inchiesta, questa volta riguardante i possibili mandanti degli omicidi: l’ipotesi è che gli assassini (o l’assassino) non abbiano agito per proprio tornaconto, ma per “commissione”. Ci sarebbe quindi un secondo livello, composto verosimilmente da persone insospettabili, che si sarebbe servito di semplici manovali del crimine per soddisfare le proprie perversioni. Questa teoria sarebbe supportata, ancora una volta, da alcune dichiarazioni di Lotti (che avrebbe dichiarato che le parti del corpo mutilate dalle vittime erano state comprate da un dottore) e dalla presenza nel conto in banca di Pacciani e Vanni di cospicue somme di denaro.
LA MORTE DI PACCIANI E LE CONDANNE DEI COMPLICI – Il 22 febbraio 1998 Pietro Pacciani viene trovato morto nella sua abitazione: ha i pantaloni abbassati e il maglione tirato su fino al collo. Ufficialmente si tratta di morte naturale, ma nel suo sangue verrà trovata traccia di un farmaco antiasmatico che non avrebbe mai dovuto prendere, dal momento che soffriva di una malattia cardiaca. » l’ennesimo mistero della più intricata vicenda di cronaca nera della storia italiana. Pacciani esce di scena da innocente, mentre i suoi complici sono sotto processo e stanno per essere condannati. Un mese dopo, infatti, Mario Vanni viene condannato all’ergastolo e Giancarlo Lotti a 30 anni di reclusione per gli omicidi di Montespertoli, Giogoli, Vicchio e Scopeti. Faggi, invece, viene assolto. In Appello la pena per Lotti si ridurrà a 26 anni. Nel 2000 in Cassazione le condanne diverranno definitive. Lotti morirà per un tumore al fegato nel 2002, Vanni, molto anziano, lo seguirà nel 2009.
FRANCESCO NARDUCCI – Resta ancora aperta l’inchiesta-ter, quella sui mandanti degli omicidi. Nel 2002 viene chiesta la riesumazione del cadavere di Francesco Narducci, un gastroenterologo di Perugia morto annegato (un apparente suicidio) sul lago Trasimeno il 13 ottobre 1985, ad appena 36 anni. Il suo nome era stato fatto da alcune fonti anonime ed era emerso anche in un’indagine della squadra Mobile di Perugia sul mondo dell’usura: in alcune intercettazioni gli strozzini avevano minacciato le loro vittime di fargli fare la fine di Pacciani o del dottore morto sul lago Trasimeno. Infine, Narducci muore proprio nel 1985, quando il killer delle coppiette smette di uccidere. Il sospetto è dunque che Narducci sia in qualche modo collegato con i delitti del mostro di Firenze. A 17 anni dalla sua morte viene quindi eseguita l’autopsia sul corpo del gastroenterologo. I risultati sono a dir poco sorprendenti: Narducci, secondo gli esami svolti dall’Istituto di Medicina Legale di Pavia, sarebbe morto per strangolamento. Ma c’è di più: il corpo riesumato è sì quello di Narducci, ma le sue caratteristiche fisiche fanno escludere che si tratti dello stesso corpo emerso dalle acque del lago Trasimeno nel 1985. Qualcuno, insomma, avrebbe messo nella bara il cadavere di Narducci dopo aver fatto ritrovare nel lago il cadavere di uno sconosciuto morto annegato. Ma chi può aver architettato tutto ciò? E perchè? Forse si è voluto inscenare un suicidio per allontanare il sospetto che la sua morte fosse collegata alle vicende del mostro di Firenze? Nel giugno del 2005 viene iscritto nel registro degli indagati Francesco Calamandrei, già indagato come mandante degli omicidi del mostro di Firenze. Secondo l’accusa, Calamandrei e Narducci sarebbero stati in strettissimi rapporti e avrebbero fatto parte del cosiddetto “secondo livello”, quel gruppo di “intellettuali” considerato la mente dei delitti del mostro. Poi, forse la paura che Narducci potesse rivelare episodi compromettenti, avrebbe indotto Calamandrei a sbarazzarsi dello scomodo amico. Viene indagato anche il giornalista Mario Spezi, per favoreggiamento. Nel 2008 l’ennesimo colpo di scena: la procura di Perugia chiede l’archiviazione del fascicolo relativo all’omicidio di Francesco Narducci e il proscioglimento di tutti gli indagati. Di seguito, verranno prosciolte anche tutte le altre persone coinvolte a vario titolo nella vicenda: parenti, conoscenti, pubblici ufficiali e appartenenti alle forze di polizia. L’indagine sulla morte di Francesco Narducci si dissolve in una bolla di sapone.
FRANCESCO CALAMANDREI – Nel gennaio del 2004 è l’ex farmacista di San Casciano Francesco Calamandrei a essere iscritto nel registro degli indagati nell’ambito dell’inchiesta “Ter” sui duplici delitti del mostro di Firenze. Calemandrei viene “incastrato” da alcune rivelazioni fatte negli anni precedenti dalla ex moglie, che perÚ nel 2004 non è più in grado di rendere testimonianza, avendo seri problemi psichici. Inoltre, Mario Vanni aveva dichiarato di essere stato a casa del farmacista con Pacciani e Lotti. Calamandrei viene rinviato a giudizio con l’accusa di essere il mandante degli ultimi 4 omicidi del mostro: avrebbe pagato i compagni di merende per ottenere parti di corpo femminile asportate alle vittime e sarebbe stato presente all’ultimo omicidio, quello del 1985 agli Scopeti. Nel 2005 Calamandrei viene indagato anche per la morte di Francesco Narducci. Lui si proclama innocente per entrambi i reati. Per l’omicidio del gastroenterologo perugino verrà prosciolto nel marzo 2008. Due mesi più tardi verrà assolto anche dall’accusa di essere il mandante degli omicidi del mostro di Firenze: il fatto non sussiste e così si conclude anche l’inchiesta sui presunti mandanti del mostro di Firenze.
Una vicenda lunga quarant’anni, quella del mostro di Firenze. Tante vittime, tante condanne, tante assoluzioni e poche, pochissime certezze. Ancora oggi, la sensazione che sia sfuggito qualcosa e ben chiara a chi si trova, come la sottoscritta, a ripercorrere tutte le tappe della storia. Chissà chi era realmente lo spietato killer delle coppiette toscane, chissà che fine ha fatto quella pistola calibro 22 che ha seminato il terrore e ha spezzato 16 giovani vite: forse è nascosta da qualche parte e chi l’ha usata si è portato nella tomba il segreto del luogo esatto, forse è stata distrutta, forse (ipotesi meno probabile) è custodita nel cassetto di qualcuno Comunque sia, ci auguriamo che non torni più a sparare.
I DELITTI ATTRIBUITI AL MOSTRO DI FIRENZE:
Lastra a Signa (Firenze), mercoledì 21 agosto 1968 Vittime: Antonio Lo Bianco (29 anni) e Barbara Locci (32 anni)
Borgo San Lorenzo (Firenze), domenica 14 settembre 1974 Vittime: Pasquale Gentilcore (19 anni) e Stefania Pettini (18 anni)
Scandicci (Firenze), sabato 6 giugno 1981 Vittime: Giovanni Foggi (30 anni) e Carmela De Nuccio (21 anni)
Calenzano (Firenze), notte tra giovedì 22 e venerdì 23 ottobre 1981 Vittime: Stefano Baldi (26 anni) e Susanna Cambi (24 anni)
Baccaiano (Firenze), sabato 19 giugno 1982 Vittime: Paolo Mainardi (22 anni) e Antonella Migliorini (19 anni)
Giogoli (Firenze), venerdì 9 settembre 1983 Vittime: Horst Wilhelm Meyer (24 anni) e Jens-Uwe R¸sch (24 anni)
Vicchio (Firenze), domenica 29 luglio 1984 Vittime: Claudio Stefanucci (21 anni) e Pia Rontini (18 anni)
Scopeti (Firenze), domenica 8 settembre 1985 Vittime: Jean-Michel Kraveichvili (25 anni) e Nadine Mauriot (36 anni)